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Zanzotto, il poeta del nuovomondo

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Quando muore un poeta muore un pezzo di noi, un pezzo della nostra storia. Andrea Zanzotto era un grande poeta, un uomo che con le parole ha attraversato un secolo e ci ha raccontato le sue contraddizioni e le sue speranze. E' entrato dentro le nostre miserie e ha messo a nudo la parte peggiore di noi. Ha difeso a spada tratta l'ambiente deturpato e ha combattuto il dominio del consumismo selvaggio. Un paio di anni fa, in un'intervista che gli facemmo per l'Unità, ci disse parole che oggi sono ancora più attuali. Lui aveva visto prima di noi quel che noi vediamo oggi.
«Diciamo che la dittatura del consumismo universale genera le più laceranti contraddizioni: il mito del prodotto interno lordo spinge al consumo acritico e febbrile, questo all'euforia imitativa, esito deteriore della globalizzazione che annienta ogni diversità (biologiche, di linguaggio, di usanze) generando, per contraccolpo, i fondamentalismi localistici. Tutto questo ha gravissime ripercussioni anche a livello psichico: la mente è preda di una compulsiva coazione a ripetere, a consumare e a circondarsi del superfluo. Ho riassunto questi pensieri in una sorta di epigramma ancora inedito: 'Si pensa di poter lucrare / anche sul proprio funerale'».
Questo ci spiegò con voce pacata. Sono parole che ci fanno riflettere mentre la crisi brucia le nostre certezze e mette in dubbio Stati e destini nazionali. E che ci confermano che la poesia vede dove spesso sembra non ci sia nulla da vedere. Per questo: grazie Andrea Zanzotto

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