Confessiamo un peccato, noi che siamo così miti e che in vita nostra non abbiamo mai fatto a botte con nessuno, nemmeno quando avevamo l’età e l’incoscienza per farlo. Ci è venuta, in questi giorni, una irrefrenabile voglia di dare un bello schiaffo a quei signori leghisti che si sono rifiutati di ascoltare l’Inno d’Italia prima a Milano e poi anche a Bologna. A cominciare dal piccolo Trota che ha quell’aria da figlio tonto di papà, uno che se la tira perché sa di essere il protetto del Gran Capo. Sì li prenderemmo tutti volentieri a sberle, quelle “vecchie, buone, domestiche sberle” di cui parlava il nostro Fortebraccio nei suoi corrosivi corsivi sull’Unità. Quelle che si danno senza violenza, solo per far capire che si sta facendo una grande stronzata. Perché in fondo quei leghisti (a cominciare sempre dal piccolo Trota) hanno una faccia da schiaffi. Fanno i consiglieri, i deputati, i senatori, sono ministri e sottosegretari, stanno dentro società pubbliche e tentano di mettere le mani anche altrove, comandano a Roma e urlano in Padania, proteggono il Gran Sultano accusato di far sesso con le ragazzine e poi si rifiutano di festeggiare l’Unità d’Italia e l’Italia stessa. Forse una “vecchia, buona, domestica sberla” può fargli capire che se possono dire tutte le stupidaggini che gli passano per la testa è anche grazie a chi ha fatto questa Italia, dai ragazzi del Risorgimento a quelli della Resistenza. Ma dubitiamo che lo capiscano. Il piccolo Trota,soprattutto, diventato consigliere regionale per diritto ereditario, uno che ci ricorda quei compagni di classe sempre sicuri di sé, spavaldi e intoccabili, perché ritenevano che il papà fosse importante. E magari faceva semplicemente l’usciere al ministero. Ma questa dei leghisti è una storia molto più seria, drammaticamente seria. E noi che, ogni giorno, facciamo i bravi cittadini, non posteggiamo in seconda fila, paghiamo le tasse, mandiamo i figli all’università pubblica e non usufriamo di alcun condono, e in tutti questi modi difendiamo la dignità del nostro Paese, ci siamo davvero rotti le scatole di questi “rivoluzionari padani” che prendono lo stipendio dallo Stato (pagato anche con i nostri soldi) e sputano sul tricolore. Come direbbero loro: a laurà!
Confessiamo un peccato, noi che siamo così miti e che in vita nostra non abbiamo mai fatto a botte con nessuno, nemmeno quando avevamo l’età e l’incoscienza per farlo. Ci è venuta, in questi giorni, una irrefrenabile voglia di dare un bello schiaffo a quei signori leghisti che si sono rifiutati di ascoltare l’Inno d’Italia prima a Milano e poi anche a Bologna. A cominciare dal piccolo Trota che ha quell’aria da figlio tonto di papà, uno che se la tira perché sa di essere il protetto del Gran Capo. Sì li prenderemmo tutti volentieri a sberle, quelle “vecchie, buone, domestiche sberle” di cui parlava il nostro Fortebraccio nei suoi corrosivi corsivi sull’Unità. Quelle che si danno senza violenza, solo per far capire che si sta facendo una grande stronzata. Perché in fondo quei leghisti (a cominciare sempre dal piccolo Trota) hanno una faccia da schiaffi. Fanno i consiglieri, i deputati, i senatori, sono ministri e sottosegretari, stanno dentro società pubbliche e tentano di mettere le mani anche altrove, comandano a Roma e urlano in Padania, proteggono il Gran Sultano accusato di far sesso con le ragazzine e poi si rifiutano di festeggiare l’Unità d’Italia e l’Italia stessa. Forse una “vecchia, buona, domestica sberla” può fargli capire che se possono dire tutte le stupidaggini che gli passano per la testa è anche grazie a chi ha fatto questa Italia, dai ragazzi del Risorgimento a quelli della Resistenza. Ma dubitiamo che lo capiscano. Il piccolo Trota,soprattutto, diventato consigliere regionale per diritto ereditario, uno che ci ricorda quei compagni di classe sempre sicuri di sé, spavaldi e intoccabili, perché ritenevano che il papà fosse importante. E magari faceva semplicemente l’usciere al ministero. Ma questa dei leghisti è una storia molto più seria, drammaticamente seria. E noi che, ogni giorno, facciamo i bravi cittadini, non posteggiamo in seconda fila, paghiamo le tasse, mandiamo i figli all’università pubblica e non usufriamo di alcun condono, e in tutti questi modi difendiamo la dignità del nostro Paese, ci siamo davvero rotti le scatole di questi “rivoluzionari padani” che prendono lo stipendio dallo Stato (pagato anche con i nostri soldi) e sputano sul tricolore. Come direbbero loro: a laurà!