Purtroppo era previsto. La manovra del governo – alti costi sociali e zero interventi per la crescita – non convince i mercati finanziari. La giornata di lunedì è la conferma di quel che diciamo da tempo. Il problema non è soltanto la politica economica depressiva. Non è solo la scadenza postuma (il 2013) di alcuni provvedimenti. Ma è soprattutto il titolare di quelle scelte. Non si fidano di Silvio Berlusconi e del suo governo. Non credono che il grande comunicatore, che nel momento della massima emergenza ha smesso di parlare in pubblico prendendo il più possibile le distanze dal micidiale colpo alle famiglie, possa dare all'Italia la sterzata necessaria. Considerano inaffidabile chi è più preoccupato del proprio destino giudiziario che di quello del suo Paese. Stiamo rischiando brutto per colpa di un premier che ci ha fatto salire sul Titanic e che ora non ha il coraggio di ammettere la propria incapacità. Il modo con cui si è presentato al Quirinale per discutere di rimpasto è un ulteriore tassello nel quadro di un declino preoccupante. La lunga lista di papabili per il ministero della Giustizia mostrata al Capo dello Stato (dieci, forse dodici nomi), ci dice che Berlusconi è ormai chiuso in un labirinto dal quale non sa come uscire. Consapevole che toccare una casella può provocare lo smottamento di tutto l'edificio pericolante, cerca di prendere tempo in uno spasmodico rincorrere tra Roma, Arcore e via Bellerio. Non ha più nemmeno la forza di fare un rimpastino, non sa più che cosa inventarsi per rimanere a galla. Anche la riforma costituzionale lanciata con grande enfasi da Calderoli è il segno di questa "sindrome da impotenza". Stretto nell'angolo, Berlusconi si inventa un diversivo, spara un bengala nel deserto, nel tentativo di rimandare e confondere le acque. Quelle proposte, che pure non contengono solo aspetti negativi, sono intrise per certi versi di demagogia e per altri ancora sembrano un libro dei sogni. La domanda è semplice: come può un governo così pensare di imbarcarsi in un processo di revisione costituzionale? La risposta è altrettanto semplice.
La frantumazione del centrodestra e la sua ostinazione, insomma, sono i temi drammatici che abbiamo davanti. Le divisioni interne si acuiscono, gli scontri sotterranei e i veleni segnano queste giornate da fine impero. L'immagine di due leader (Berlusconi e Bossi) invecchiati, stanchi e incapaci di fare il gesto giusto è l'emblema del tramonto di una stagione. Persino il caso Tremonti, con la storia del suo partito che l'Unità ha raccontato, dimostra (nonostante la sportiva ammissione-smentita del ministro) una guerra senza esclusione di colpi. Nessuno si fida dell'altro e ognuno cerca la sua improbabile via di salvezza.
Ma qui rischia di non salvarsi il Paese, stretto tra una manovra fatta di tasse e di tagli e un sistema produttivo che non ha più aria e produce crisi aziendali e licenziamenti, mentre le grandi questioni (dalla scuola alla sanità al precariato) restano sullo sfondo, dimenticate. Possiamo durare a lungo così? Può un Paese senza governo resistere alle intemperie di una crisi finanziaria difficile? Certamente no. Quando la barca rischia il naufragio per colpa del comandante, per farcela c'è un'unica scelta: cambiarlo. Ci sono momenti in cui perdere tempo è colpa gravissima
La frantumazione del centrodestra e la sua ostinazione, insomma, sono i temi drammatici che abbiamo davanti. Le divisioni interne si acuiscono, gli scontri sotterranei e i veleni segnano queste giornate da fine impero. L'immagine di due leader (Berlusconi e Bossi) invecchiati, stanchi e incapaci di fare il gesto giusto è l'emblema del tramonto di una stagione. Persino il caso Tremonti, con la storia del suo partito che l'Unità ha raccontato, dimostra (nonostante la sportiva ammissione-smentita del ministro) una guerra senza esclusione di colpi. Nessuno si fida dell'altro e ognuno cerca la sua improbabile via di salvezza.
Ma qui rischia di non salvarsi il Paese, stretto tra una manovra fatta di tasse e di tagli e un sistema produttivo che non ha più aria e produce crisi aziendali e licenziamenti, mentre le grandi questioni (dalla scuola alla sanità al precariato) restano sullo sfondo, dimenticate. Possiamo durare a lungo così? Può un Paese senza governo resistere alle intemperie di una crisi finanziaria difficile? Certamente no. Quando la barca rischia il naufragio per colpa del comandante, per farcela c'è un'unica scelta: cambiarlo. Ci sono momenti in cui perdere tempo è colpa gravissima