di Pietro Spataro
«Eravamo un gioiello della moda, oggi rischiamo di chiudere e di perdere le nostre speranze». L'operaia della Mariella Burani racconta la storia disperata della sua azienda qui a Reggio Emilia in questa redazione inventata dentro un centro sociale che si chiama Catomes Tôt, che vuol dire "troviamoci tutti". Appunto, troviamoci tutti in questo 25 aprile per ricordare la storia della resistenza al nazifascismo, il sacrificio e il dolore per salvare l'Italia e renderla libera. Ma anche per portare in questo giorno, che qualcuno tenta ancora di cancellare dalla memoria, le battaglie di oggi. Il dramma del lavoro che tocca centinaia di aziende, migliaia di lavoratori, le famiglie e i figli. La vita di oggi e il futuro. Ne abbiamo ascoltate ieri di storie, abbiamo segnato i nomi: Tecnogas, Comer, ex Officine Reggiane, Sachman. Sono venuti in tanti a dirci degli scioperi, dei picchetti, di imprenditori senza scrupoli che hanno preferito tentare il gioco della borsa piuttosto che garantire stabilità alle aziende. Tanti che oggi, mentre il premier padrone regala i Suv di Putin agli amici degli amici, non sanno come sarà domani.
La democrazia e il lavoro, la Costituzione e le fabbriche. È il connubio su cui si gioca la sfida per uscire da questi brutti giorni bui. Siamo un paese sfinito, preso nel vortice della crisi più di altri, diviso e frammentato, fragile e colpito al cuore della sua dignità di nazione. Il tentativo di disfare la nostra Costituzione fa paura. L'idea che si possa cambiare la carta di identità di un Paese a colpi di maggioranza solo per accomodare le aspirazioni di un premier fa parte di una concezione autoritaria e quasi monarchica dello Stato. Si dice presidenzialismo, ma non si sa quale. Si dice riforma della giustizia, e si sa bene quale. Si dice bavaglio alla stampa, e si sa che si vuole impedire che si scriva anche solo una riga sulle indagini in corso. Si dice tutto, con arroganza, lasciando ferite e facendo volteggiare minacce. E poi resta quella orrenda legge elettorale che ha creato deputati nominati e non eletti.
Siamo qui, su questo versante scivoloso. Ecco perché la lotta di liberazione non è una immagine sbiadita, come ha detto ieri Giorgio Napolitano. Ecco perché mantiene un profondo significato nazionale, quasi fosse un ponte verso l'unità d'Italia che ha dato radici e sostanza alla nostra storia. Ma alle nostre spalle, nelle nostre strade, la Lega vuole spezzare questo filo. Il "giovane padano" che dice in video «secessione» e con la faccetta pulita aggiuge «via gli immigrati, via i meridionali», fa venire i brividi.
Per questo abbiamo titolato la nostra copertina "Unità d'Italia". Perché siamo a un passaggio cruciale nel quale c'è bisogno di ritrovare un punto che unisca: l'operaio che vuole il suo lavoro e quelli che difendono la democrazia di tutti. Vogliamo chiamarlo patto repubblicano? Patto democratico? Scegliamo le parole che più ci piacciono ma il senso è lo stesso: c'è bisogno di una strada nuova per questa Italia martoriata dal berlusconismo. Per costruirla dovremo essere in molti. Qualche tempo fa Oscar Luigi Scalfaro disse a questo giornale: dobbiamo muoverci in difesa delle nostre istituzioni, perché altrimenti alla fine le pagine della storia si girano da sole. E quando si girano da sole non portano mai buone notizie.